Lei si chiama Adriana. E già solo questo basterebbe a rendermela simpatica. L’ho conosciuta tramite la mia amica Marianna Carlini e attraverso il racconto che di lei ha fatto Silvia Lessona nel libro che abbiamo firmato insieme e da alcuni giorni in vendita sulle principali piattaforme online oltre che dal sito dell’editore Rubbettino. Il libro s’intitola “Nel nome delle donne”, parla di sette imprenditrici, e una di queste è proprio Adriana. L’ho conosciuta, l’Adriana Gasco Fiorentini, di persona: ci siamo incontrati alcune volte nell’ultimo mese e sono rimasto catturato dalla semplicità, dalla serenità e dalla calma, ma soprattutto dall’allegria che emana la sua persona. Silvia Lessona trasferisce molto bene tutto questo nel suo racconto. Ma, al di là di questo, bisogna leggere la sua storia perché è quella di una vera imprenditrice, che ha reso fino in fondo imprenditore anche suo marito, Roberto Fiorentini. Senza la sua gentile insistenza Roberto non avrebbe forse dato seguito all’attività di famiglia e non ci sarebbe un’impresa che oggi supera il fatturato di cento milioni di euro e dà lavoro a più di 250 persone di cui l’80 per cento donne. Colpisce, leggendo la sua storia, vedere la forza che emerge da questa coppia di sposi e di imprenditori. Nella loro vicenda possiamo vedere le storie di tante, tantissime altre aziende italiane, fondate sul lavoro, ma anche sull’amore di un uomo e una donna. Perfetta storia di Natale.
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In questo racconto – scritto da Silvia Lessona – Adriana Gasco Fiorentini racconta le origini di quella che è oggi una grande industria alimentare produttrice di gallette e snack salutistici. Ne parla con i nipoti Carolina, Margherita, Vittoria e Francesco. Tutto nasce da un amore, dalla sua storia con Roberto Fiorentini.
(…) Ci siamo sposati il 7 dicembre del 1975… Ai nostri tempi ci si orientava per mete piuttosto vicine, raggiungibili in treno, auto o con un breve viaggio aereo; la cosa importante è che fossero romantiche. Scegliemmo quindi Parigi e ripensandoci adesso … mi rendo conto che non c’è stato viaggio nel quale non ci abbia coinvolto la nostra passione per il lavoro.
Da giovane avevo un gran desiderio di comperarmi un foulard di Hermès e dunque il viaggio a Parigi mi sembrava coincidere perfettamente con le mie aspettative. Data l’occasione, ovvero le nozze, non mi sembrava di chiedere chissà ché. Appena giunti avemmo l’impressione che fosse una città bellissima, romantica e soprattutto che potevamo disporre di molto tempo a disposizione. L’acquisto del foulard non fu quindi la prima cosa di cui ci occupammo, eravamo curiosi della città, la visitammo in lungo e in largo, andammo a cena fuori accompagnati da un nostro fornitore che ci portò in un ristorante cinese dove scoprimmo che quel cibo ci piaceva tantissimo nonostante fossimo entrati molto prevenuti…
E poi, mentre i giorni scivolavano via, io e Robi ci dicemmo che dovevamo assolutamente andare in Place de la Madeleine da Fauchon, nome simbolo della gastronomia di lusso, uno dei negozi più rinomati al mondo. Lì, e vi ricordo che sto parlando di oltre quarant’anni fa, trovammo prodotti stranissimi come formiche ricoperte di cioccolato, bachi da seta fritti e cavallette da mangiare. Ci pensate? A quel punto il nonno impazzì letteralmente, sembrava un bambino in un negozio di giocattoli a Natale. Afferrava un prodotto, poi due, li guardava stupito ed estasiato, poi ne prendeva un altro e continuò così per un’oretta. -Compriamo questo!- Diceva eccitato – E anche questo, e poi quest’altro!- Insomma, a farla breve uscimmo di lì completamente al verde ma con una valigia piena di porcherie pazzesche!
(…) Purtroppo dopo la visita da Fauchon avevamo finito i soldi e quindi ciccia, siamo dovuti tornare e il foulard è svanito insieme con la bella Parigi! Voi sapete che non sono una civettuola di natura, ma è stata comunque una piccola delusione, era pur sempre il mio regalo del viaggio di nozze! Pazienza mi sono detta, così, appena ho messo da parte abbastanza soldi me ne sono regalata uno.
Devo ammettere però che se il nonno riempì la valigia da Fauchon fu anche un poco colpa mia. Ho sempre insistito perché si dedicasse a questo lavoro piuttosto che ad una carriera più lineare con la sua laurea e così lui, che mi aveva dato retta, stava semplicemente seguendo le orme già tracciate dal padre con l’aggiunta della sua personale curiosità e della sua grande voglia di sperimentare. Si era laureato in Economia e Commercio e avrebbe potuto decidere tra mille posti di lavoro, in banca o nella finanza, c’era solo l’imbarazzo della scelta, aveva campo libero, c’erano molte più possibilità e la situazione non era certo paragonabile a quella di oggi.
Mi ricordo che gli avevo detto: “Robi, provaci, perché no? Il lavoro che fa tuo padre è bello ed interessante, ha già qualche cliente a Milano a Bologna e Roma e tu potresti ampliarlo creando una divisione commerciale di vendita all’ingrosso di prodotti inusuali, particolari e introvabili. Se il tuo pensiero è quello di mantenermi, non ti preoccupare, io uno stipendio ce l’ho, lavoro in Fiat, quindi perché non ti butti in questa avventura?” E lui l’ha fatto.
(…) Sono restata a lavorare in Fiat fino a quando sono rimasta incinta di Fabrizia, Robi invece, nel frattempo, stimolato dalla mia insistenza, aveva iniziato a sviluppare l’attività all’ingrosso. Fu così che iniziai a lavorare con lui. Io facevo i conti mentre lui andava a vendere i prodotti presso la rete di negozi già messa in piedi da vostro nonno Vittorio.
In tempi brevi la rete si ampliò e fu necessario assumere alcuni rappresentanti. In quel periodo abitavamo in via Monte Pasubio vicino a via Passo Buole dove, firmando molte cambiali, avevamo preso un magazzino per stivare tutte le nostre merci rare e introvabili. Si trattava di un basso fabbricato che raddoppiammo di lì a poco finché ci trasferimmo in Strada del Francese, verso Borgaro Torinese, sede per trent’anni della Fiorentini e dove ancora oggi si produce la crema di arachidi.
Arrivò un giorno nel quale ci trovammo di fronte ad un bivio: o si retrocedeva o si cresceva. Facemmo una riunione di famiglia con le vostre mamme alle quali chiedemmo quali fossero i loro progetti per il futuro. Mi ricordo come fosse ieri che entrambe ci guardarono negli occhi e dissero: “Voi avete fatto dei sacrifici per arrivare fin qui e noi non vogliamo sprecare tutto questo. Veniamo a lavorare con voi per portare avanti la Fiorentini”.
E avvenne proprio così, terminata la Facoltà di Economia e Commercio, prima mamma Fabrizia e poi mamma Simona iniziarono subito a lavorare in Fiorentini senza quasi neanche fare le vacanze. Certo all’inizio per loro fu molto impegnativo, però sono due ragazze davvero in gamba che hanno capito molto rapidamente in che settore potevano dare il loro meglio. Fabrizia mi affiancò nell’amministrazione e Simona iniziò a seguire la parte commerciale con il nonno. Il loro ingresso in azienda ci dette la spinta per iniziare noi stessi la produzione entrando in società in Birko, un’azienda locale di alimenti naturali e leader nella produzione di prodotti biologici che infine acquisimmo. La produzione si concentrò sulle gallette di cereali e sugli snacks. Sapete? Oggi la Fiorentini è uno dei principali produttori italiani di snacks salutistici, ne facciamo più di trecento tipi diversi!
Grazie probabilmente alla mia predisposizione artistica, fin da subito mi dedicai anche al packaging e disegnai quello che diventò il primo logo della Fiorentini. Proposi di utilizzare il nome di famiglia quale logo sulle confezioni pensando che in questo modo si comunicasse la nostra identità in maniera netta e precisa e scelsi per questo il colore rosso, di un tono brillante ed energico, vivo, che si stagliava sullo sfondo bianco. Col tempo disegnai anche numerose etichette e inventai tanti nomi per i nostri prodotti. Tipo ad esempio i ‘Riccioli’, quei prodotti con la crusca da mettere in tazza, oppure sigle come la Si&No, l’ultima nata, finita su moltissimi prodotti della Fiorentini e che identificano tutto ciò che è sano e biologico e che dicono no al fritto o alla rinuncia al buono.
Per molti anni ho lavorato iniziando alle otto del mattino, dopo che avevo portato le vostre mamme a scuola, restando in azienda con Roberto fino alle sette di sera. Nonno andava in giro per l’Italia a proporre le nostre novità, prodotti che suscitavano la curiosità di molti responsabili acquisti di supermercati e negozianti che iniziarono a inserirli per testare il consumatore. E mentre lui vendeva io, dal canto mio, acquistavo macchine per fare le gallette e, con Moreno, studiavamo come organizzare le nuove linee. Da una linea si passò a due poi a tre e contemporaneamente riuscimmo nell’impresa di produrre snack non fritti, molto salutistici, e poi ancora pensammo di ricoprire alcune gallette con il cioccolato e, ovviamente, le linee aumentarono.