Io li ho conosciuti gli imprenditori e le imprenditrici. Io li conosco. Sognano, fanno, affrontano mille difficoltà, investono, danno lavoro, producono ricchezza per sè e per gli altri, per il territorio dove operano, ma sempre, prima o poi, riaffiora in loro -dentro ciò che fanno o anche in momenti fuori dal loro “fare” – quel bisogno profondo, il bisogno di non perdere sé stessi in tutto quel combattere, realizzare, costruire, dare, spendersi. Mariacristina Gribaudi, veneta d’adozione, torinesissima di nascita e di adolescenza, imprenditrice di successo e manager nel campo dell’arte e della museistica, ne è l’esempio. Per lei vivere questo momento della vita non significa considerare cose inutili quanto fatto, desiderato e sofferto, quanto donato e regalato del proprio tempo alla società e al territorio, ma mettersi un po’ discosti, saper guardare e giudicare il passato-passato e il passato-vicino, rivedere ogni cosa col peso che ha avuto e con il suo valore, che vuol dire anche sapersi mettere un po’ da parte, fare un passo indietro ( o di fianco) e mandare avanti i propri collaboratori e collaboratrici, perché facciano loro, perché possano avere successo e, soprattutto, possano sbagliare per migliorare, per crescere. Non c’è crescita senza errori, gli imprenditori lo sanno bene.
Mariacristina, di questo bisogno di prendersi cura di sé stessa, ha fatto ormai il “focus” principale della sua vita. E in questo “focus” ha scoperto una cosa impressionante: “Più divento matura umanamente (non mi appartiene l’idea di voler essere giovane sempre) più la vita mi avvicina a quello che ero da bambina, più vivo un riallineamento di me alla bambina che ero”. E chi era la bambina Mariacristina? Ce ne ha offerto lei stessa un quadro nel libro che abbiamo scritto insieme e pubblicato per le edizioni Rubbettino nel 2018 “L’altalena rossa – Keyline e la sorprendente vita di una donna di fabbrica”:
“La mia altalena è bellissima. E’ rossa . (…) L’ha fatta mio nonno. (…) Non ho nulla da temere: il seggiolino è robusto, è in acciaio, non si può rompere. Tutta la struttura è solida, ben radicata a terra, e due corde da montagna reggono il seggiolino. Quando mi dondolo vedo tutto il mondo alzarsi e abbassarsi intorno a me. E le montagne, lassù, mi sembra di andarle a toccare quando salgo, salgo, salgo… Mi piace passare da quasi ferma a completamente lanciata in avanti, dando più forza possibile con le gambe. Vado su in progressione, poco alla volta, le mani ben strette alle corde, con l’aria fresca che mi arriva in faccia e mi smuove i capelli. (…).
E inoltre: “A me capita spesso di andare per un momento sul balcone e respirare la notte. Quando fa bel tempo, qui, le stelle brillano nel blu scuro del cielo e lassù, a sinistra, spicca una montagna, la Lera: è meravigliosa di notte! E col pensiero volo in alto, come quando sto sull’altalena che mi porta in su…”
Sono scene, queste, nelle quali Mariacristina descrive di sé stessa da bambina nel nostro libro, che non esprimono una solitudine, al contrario, un sentimento di grande compagnia a sé da parte del mistero e della grandezza del mondo – il cielo stellato, le montagne, “la” montagna” – e dentro questo spettacolo il movimento di lei, la voglia di salire, di raggiungere quell’oltre, quel futuro. Evidentemente, gli uomini (e le donne) sono fatti tutti alla stessa maniera, imprenditori compresi: vogliono concepire sé stessi dentro l’universo, dentro l’infinito.
Prendersi cura di sé stessi vuol forse dire saper tornare a questo pascoliano “fanciullino” che si agita nel cuore. “Più passa il tempo” mi racconta da Londra dove è impegnata in un’esperienza formativa (” Non mi sento mai arrivata”, dice), più mi riconosco in quel titolo che abbiamo dato al libro. Non avverto più la responsabilità di dover dimostrare agli altri quello che sono capace di fare, ma di capire quanto sia importante per me quello che so fare. A oltre cinque anni da quel libro sto sviluppando una dimensione della mia vita più intimistica, nel senso che investo maggior tempo avendo al centro me stessa, ma non come forma di vita egoistica, ma come responsabilità e consapevolezza nei miei confronti di ciò che sono nel profondo. Nella mia vita ho dato tanto, ho svolto anche tanto lavoro offerto gratuitamente, adesso è arrivato il momento di respirare e di fare cose per me stessa. Nell’arco della giornata cerco di fare cose che mi piacciano e, per una persona molto disponibile verso gli altri come sono sempre stata, è stato molto importante cominciare a dire qualche ‘no’. Mi fa un po’ impressione dire così: ho davanti a me la consapevolezza di essere figlia di un sopravvissuto al lager, di aver avuto una mamma che ha sempre lavorato… no, no, non voglio dire che adesso guardo il mondo affacciata al balcone o seduta su una panchina (chi mi vede ogni giorno lo sa bene che non è così) ma c’è che ho bisogno di concentrarmi su cose che danno soddisfazione a me stessa, che diano soddisfazione a quella bambina che ero e che si identifica sempre di più con quello che desidero. Si apre un mondo nuovo per me in questo mio tempo, che risignifica il passato, nelle cose positive e negative, e che rimette me al centro della scena. Tutto ciò mi sta permettendo di vivere la maturità o la vecchiaia che dir si voglia (per me non è un problema) in modo positivo come donna, moglie, mamma e nonna: ho tre nipoti e un quarto sta arrivando. Ho tante cose da raccontare. E tutto ciò mi permette – e mi ha permesso – di fare un passo indietro sul lavoro, alla Keyline, l’azienda, la più antica in Italia nel settore della produzione di chiavi, della famiglia di mio marito Massimo Bianchi. e anche nella Fondazione Musei civici di Venezia che presiedo dal 2015. Un passo indietro che ha voluto dire: ‘fate un passo avanti voi, più giovani’. E’ la logica del passaggio generazionale, del passaggio del testimone: fai tu adesso, e se sbagli, se vuoi, ne parliamo”.
Per Mariacristina Gribaudi, vivere così significa coltivare il senso infinito di ogni istante: “Quante volte potrò andare negli Stati Uniti? Non in eterno. Quanti libri potrò leggere tra quelli che ho in libreria e che continuano ad aumentare perché non smetto di comprarne? Ho bisogno di vivere l’infinito in questo tempo finito, il tempo delle emozioni deve essere infinito. E così facendo vivo la gratitudine alla vita, al sorriso che incontro, e mi commuovo delle piccole cose. il tempo diventa prezioso, godo di ogni raggio di sole”.
Mi viene voglia di rileggere il nostro libro. Molti le dicono che ha avuto una vita fortunata. Sì, ma è la fortuna di una donna che ha sempre tanto sofferto e combattuto non con animo afflitto ma con l’atteggiamento di voler salire in alto con l’altalena per avvicinarsi al mistero affascinante delle stelle, cioè il domani, il futuro, il destino. Ha perso un fidanzato da giovane, morto in montagna, ha avuto quattro figli da un uomo che si è sentita in dovere di lasciare per amore a sé stessa, si è reiventata imprenditrice nell’arredamento dopo l’esperienza in fabbrica col padre Carlo, si è innamorata di Massimo Bianchi e con lui ha formato (con i suoi pargoli) una famiglia di sei figli tutti trattati e cresciuti come fratelli, indistintamente; ha sostenuto il marito quando ha deciso di lasciare il ruolo di amministratore del gruppo Kaba e ha favorito la rinascita dell’azienda di famiglia; è diventata imprenditrice in un settore che non conosceva e ha anche assunto un ruolo rilevantissimo nello sviluppo di Venezia come città d’arte; ha valorizzato a più non posso il contributo femminile nel modo del lavoro… Oggi Mariacristina, nel suo nuovo cammino personale, beneficia di grandi amici, come padre Natale Brescianini, il priore Marino Mazzola e padre Maurizio Barchiesi, dell’Eremo di Monte Giove a Fano.
Mariacristina è anche l’amica che ognuno di noi vorrebbe. Ed è mia amica. Per questo ho voluto offrire ai miei amici lettori questa storia, profondamente pasquale, di una donna che ha sempre saputo guardare con fiducia al futuro. Buona Pasqua a tutti.