“Non ho cose particolari da insegnare ai ragazzi, però posso raccontare delle storie. Ho questa forza e le storie smuovono anche le montagne, smuovono tutto quello che c’è da toccare dentro ognuno di noi. E questa è la potenza delle storie.” Paola Cortellesi, intervistata da Mario Calabresi nel suo podcast per il blog Altre/Storie, ha definito così il senso del suo lavoro di attrice e ora di regista con il bellissimo film “C’è ancora domani”. Me l’ha fatta notare mia moglie, Bianca, questa sintetica definizione, e mi ci sono ritrovato subito. Ho ritrovato il mio, di lavoro. Dal 2001 racconto storie di persone (uomini e donne) nei trenta libri che ho pubblicato, e anche nel trentunesimo dedicato a sette straordinarie donne imprenditrici. E’ la forza delle vite dei protagonisti dei miei libri che io voglio far emergere, sono loro a parlare, a insegnare con il loro vissuto, con le loro intenzioni, coi loro desideri, tentativi, successi, fallimenti. Nel raccontarle vivo la convinzione di Paola Cortellesi: “le storie smuovono tutto quello che c’è da toccare dentro ognuno di noi.” Dopo l’evento che ho organizzato il 5 dicembre 2023 a Torino a Palazzo Bricherasio ospite di Banca Patrimoni Sella e dell’amico Luca Martina, ho ricevuto diversi messaggi che dimostrano quanto il racconto di storie smuova chi ascolta e ha voglia di imparare dagli altri. L’imprenditore Mario Burrascano mi ha scritto: “Ho sentito tante storie di sentimenti, di coraggio, di tenacia, di capacità di lavorare per un futuro migliore. Come uomo, prima ancora che come imprenditore le sono veramente grato per questo.” E un altro partecipante all’incontro, il caro amico Domenico Tavaglione, ha commentato: “Grazie anche ai tuoi ospiti che con le loro parole e storie infondono coraggio e voglia di non mollare mai, come si conviene a un imprenditore.”
Io non sono niente quando racconto le storie dei miei protagonisti. “Tu sei niente” quando racconti i fatti degli altri, diceva Sergio Lepri, il primo direttore dell’Ansa, l’agenzia per cui ho lavorato per dodici anni, ai suoi neoassunti; a me non l’ha detto ma in fondo questa frase che circolava come una leggenda l’ho fatta mia da quando scrivo di cronaca o scrivo romanzi e racconti: devo nascondermi, scomparire, per inabissarmi e portare alla luce le storie degli altri.
Ritrovo questo stesso spirito nelle storie che racconta Calabresi, che sento un po’ come maestro, oltre ad averlo anche come buon amico. In lui vedo curiosità e capacità di farsi sorprendere. I trenta libri che ho scritto nascono tutti da curiosità e stupore. Ho cominciato con la storia avventurosa di don Bernardino Reinero, il prete che negli anni 70 e 80 del secolo scorso a Torino ha entusiasmato alla fede cristiana centinaia e centinaia di giovani e ho voluto raccontare nel modo più fedele possibile quella stagione che ho potuto anche vivere in prima persona. Poi sono venute, dopo, tante altre storie, dalla parabola velocissima di una ragazzina, Cilla, morta a 15 anni – evento che ha segnato la mia vita – alla vicenda di dieci famiglie che hanno fatto dell’accoglienza il loro stile di vita, per arrivare poi al mio primo libro dedicato agli imprenditori, il celebre “Piano piano che ho fretta” scritto con e su Marco Boglione, patron di BasicNet.
Da lì in poi un crescendo, con la storia della Balocco, scritta con il compianto Alberto Balocco, con quella della Morando, la prima azienda italiana del pet food, con la affascinante vicenda delle penne stilografiche Aurora, con la travolgente avventura dei supermercati Alì in Veneto o quella dei materassi Dormiflex. Libri pubblicati con prestigiose case editrici, su un filone, quello dei romanzi d’impresa, che però solo Florindo Rubbettino, con la sua casa editrice, ha saputo valorizzare accompagnandomi in questo cammino, facendolo anche suo. L’elenco dei libri che ho pubblicato con Rubbettino e che trovate in questo sito sono il segno evidente di una collaborazione che ormai ha solide basi, confermata dall’uscita in questi giorni, per l’appunto, del trentunesimo libro, “Nel nome delle donne” scritto con Silvia Lessona.
Ho voluto battere la strada dello storytelling d’impresa consapevole di quanto ha affermato Antonio Calabrò nella prefazione del libro di Luca Vignaga “L’impresa è un romanzo – Attraversamenti nella narrativa sul mondo del lavoro”: “Se è vero che l’impresa merita letteratura, è altrettanto vero che storicamente i letterati, gli scrittori, gli artisti, diffidano degli imprenditori, tollerandoli al massimo come mecenati. Hanno in sospetto chi fa i soldi, banchieri o industriali che siano. Ne hanno scritto e ne scrivono, certo. Ma con distanza critica. Una distanza che è spesso ricambiata. Perché?”
Eppure si tratta di mondi che devono incontrarsi. Perché, come dice Giuseppe Lupo in un articolo del Sole-24 Ore del 18 novembre 2021 riferendosi al libro di Vignaga, “alle imprese servono i romanzi.” Infatti, secondo lui “lo strumento più immediato a cui ricorrere per decifrare la complessità dei meccanismi produttivi sono le opere di invenzione narrativa anziché quelle che obbediscono a schemi saggistici, meno efficaci dei primi. Alle aziende, insomma, è necessaria l’opera dei letterati.” Il mio lavoro si colloca a questo livello. O almeno ci provo!
Desidero, infine, chiudere questa storia con la testimonianza di un grande amico, Alberto Balocco, morto più di un anno fa colpito da un fulmine, che nelle ultime righe del nostro libro “Volevo fare il pasticcere” (e lui lo sta sicuramente facendo in Cielo) ci ha lasciato questa parole: “Volevo fare il pasticcere: forse è arrivato il mio momento. Ma, al fondo, al di là di questo sogno, rimane una domanda, quella che ogni imprenditore (ma io aggiungo, ogni uomo e donna) si fa tutte le mattine guardandosi allo specchio: ‘Ce la farò? Ce la faremo anche oggi?’ Non è un modo di dire… Sono le domande che, credo, si siano posti mille volte mio padre, mio nonno, i miei bisnonni. Sono le domande che vivono dentro la coscienza di ogni imprenditore quando si trova di fronte a scelte difficili, consapevole che dietro l’angolo, anche quando tutto tutto sembra andare bene, c’è sempre il rischio di un imprevisto, di un’emergenza che può mettere in pericolo tutto e tutti. Dentro le preoccupazioni, dentro l’impegno sempre vivo, a spronarti a continuare è la coscienza che altri, prima di te, hanno rischiato tutto. Hanno avuto il coraggio – un coraggio autentico, puro, sincero – di avere paura.” Grazie Alberto…