Il 15 aprile 2024 a Verona, al Vinitaly, sarà svelato il segreto di un grande storia imprenditoriale, quella di 958 Santero, il vino che sa di futuro. Allo stand della notissima casa vinicola di Santo Stefano Belbo (Cuneo), il paese di Cesare Pavese, sarà presentato il libro sulla storia dell’azienda e della famiglia del presidente Gianfranco Santero, firmato dal giornalista Filippo Larganà e pubblicato da Rubbettino, sedicesimo volume della collana “La bellezza dell’impresa” da me diretta insieme con Florindo Rubbettino.
Un libro molto atteso, questo, annunciato da tempo alla rete commerciale, che ora viene finalmente alla luce presentandosi al grande pubblico degli enologi e degli appassionati di vino. Qui di seguito un’anteprima delle pagine in cui Gianfranco Santero, a poco più di dieci anni dall’inizio della sua avventura di presidente dell’azienda, racconta i primi passi verso l’innovazione del marchio e svela il mistero di quel nome – 958 Santero – che tanto incuriosisce e attira, insieme alle mirabolanti e coloratissime bottiglie che hanno fatto dell’impresa langarola un unicum nel panorama italiano della produzione di vini.
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Come le pietre miliari piazzate sulle antiche strade che servivano a misurare una distanza, anche per le famiglie esistono punti di svolta, “pietre” di misurazione che indicano la fine di un percorso e l’inizio di un altro cammino. È così anche per la mia famiglia. La nostra pietra miliare è il 2003. Il nuovo millennio che, come il primo, ha portato tanti timori e tante paure, è passato da pochi anni. La nostra Casa vinicola è avviata ed è già una delle più importanti del territorio e del Paese. Ma qualcosa deve compiersi, qualcosa che cambierà profondamente la storia della famiglia e che, tuttavia, non sarà un evento inatteso.
A gennaio del 2003 muore mio zio Renzo Santero. È stato lui a portare avanti, fino ad allora, l’azienda che porta il nostro nome. A lui e agli altri fratelli si devono progetti e investimenti che hanno condotto la nostra Cantina a “contare” nel mondo del vino italiano e mondiale. In quegli anni le commesse non sono mancate, ma, naturalmente, ci sono stati anche intoppi e difficoltà. Tuttavia mio zio Renzo, l’uomo con il vestito scuro, che ci teneva a essere sempre impeccabile e che nel tempo libero amava suonare il clarinetto, ha mantenuto la rotta indicata dal padre Pietro: una famiglia, la nostra famiglia, sempre a capo di un’azienda proiettata ad esplorare nuovi mercati e possibilità di sviluppo.
Senza Renzo, però, a più di vent’anni dalla morte di Pietro, lo devo ammettere, è come se i figli del fondatore, i miei zii, i suoi fratelli, si fossero resi conto di quanto l’azienda fosse importante per la famiglia, al di là di tutti, persino al di là di Renzo. È così che io, Gianfranco Santero, classe 1966, mi trovo a prendere il posto di zio Renzo e prima ancora di nonno Pietro. Nel 2003 ho 37 anni e lavoro in azienda da un po’.
Quando muore Renzo capisco che qualcosa sta cambiando. Lo zio non stava bene da qualche tempo e dopo qualche mese perde la sua ultima battaglia. Qualche settimana dopo ci troviamo tutti attorno al grande tavolo delle riunioni d’azienda e di famiglia, che poi, per noi, significa dire la stessa cosa. Gli zii, i fratelli di Renzo e noi cugini ci guardiamo negli occhi. C’è la tristezza per la perdita di Renzo, ma anche la consapevolezza di dover decidere che cosa fare ora che lui non è più al timone.
Noi cugini siamo già tutti operativi in Santero. Ci siamo fatti le ossa seguendo le orme dei nostri padri e del nonno: alcuni in amministrazione, altri nella produzione, altri ancora nelle vendite. Io ho seguito le orme di mio zio Renzo: l’’amministrazione, i contratti, le vendite…, insomma, un’idea di direzione aziendale acquisita sul campo, oltre che sui libri di scuola. In quella riunione di famiglia capiamo tutti insieme che è arrivato il momento di cambiare. I nostri padri, i fratelli di Renzo, decidono di fare un passo di lato. “Se te la senti devi fare tu il presidente della società” mi dicono. Cerco lo sguardo di mio zio Adelio e di mio padre, Aldo, che mi sembra voglia dire qualcosa… però non dice nulla, si limita a muovere la testa leggermente di lato, come l’esprimere una richiesta silenziosa. In quel momento penso alla famiglia, al nonno Pietro e a Renzo che, con gli altri, con noi, avevano fatto e dato tanto. E accetto. Mio cugino Pierpaolo, che è enologo, viene nominato vicepresidente. Quel giorno comincia un nuovo corso per la Santero, il nostro corso.
È così che la terza generazione ha fatto un passo avanti e ha preso il timone di una nave che, per filare veloce con il vento in poppa, ha bisogno del suo carburante preferito fatto da una miscela esclusiva di spirito d’impresa, di alte percentuali di sicurezza nelle proprie possibilità, di innovazione e di gioco di squadra per raggiungere e superare obiettivi che altri neppure si sognano. Quel giorno io, ho pensato che mio nonno Pietro avrebbe di certo sorriso edendo come abbiamo deciso di andare avanti. Perché quello che noi, suoi nipoti, avevamo nel nostro cuore, era esattamente la stessa cosa che aveva sentito lui la prima volta che aveva messo piede nella vigna di suo padre: un misto di eccitazione e timore, ma sempre con la voglia di correre in avanti guardando al passato solo per prendere quello che era necessario per non fermarsi mai.
Fare il presidente non è un lavoro facile, ma nessuno di noi Santero, qui in azienda, ha compiti facili. Ne va della responsabilità nei confronti dei nostri collaboratori e dei clienti. Non è poco. Ora abbiamo preso le redini in mano della ditta di famiglia noi della terza generazione, ma all’alba di questo terzo millennio i mercati cambiano e lentamente, ma inesorabilmente. Anche l’azienda fondata da mio nonno Pietro si trova davanti all’esigenza di rinnovarsi, ancora una volta, per non perdere il passo, per andare avanti, sempre. Lo devo dire, quel primo decennio del terzo millennio non è stato facile. Il gusto dei consumatori stava evolvendosi in fretta. Si fanno strada nuove esigenze, mutano percezioni e status sociali. Nuovi riferimenti entrano a far parte del vivere quotidiano e per il nostro mondo, il mondo del vino, comincia un periodo di cambiamenti profondi e sostanziali. In azienda c’è, forte, la consapevolezza di dover dare un impulso, una scossa che possa lanciare la Santero in questa nuova dimensione commerciale e produttiva. Eravamo come sospesi in un limbo che non prometteva nulla di buono, si doveva fare qualcosa e non c’era molto tempo. La soluzione la trovo durante un viaggio negli Stati Uniti.
Se torno indietro con la memoria rivedo tutto, giorno per giorno, vivido come se fosse ieri. Ero a New York per lavoro, ma anche con qualche minimo spazio libero da impegni per andare a spasso. Confesso che visitare le grandi città e scoprire i posti meno noti e fuori dai circuiti turistici è stato sempre un mio pallino. Così, un pomeriggio, quasi senza rendermene conto mi ritrovo sull’Highline che è un luogo magico, unico, della Grande Mela. Si tratta, in buona sostanza, di una vecchia linea di superficie della metropolitana newyorchese che, negli anni e con un progetto di riconversione davvero incredibile, è stata salvata dal degrado e dall’incuria, trasformandola in un parco frequentatissimo, fatto di giardini e orti e ornato da piante e fiori di tutti i tipi che crescono tra i binari abbandonati. Gli stessi binari sono ora camminamenti, sentieri, cordoli, per indicare il percorso a chi si avventuri per questo strano quartiere green. Davvero una favola. E nella parte sottostante di questa sorta di parco pensile scopro una teoria di locali, bar, ristoranti e anche gallerie d’arte moderna. Insomma un posto con tante cose da fare e da vedere.
È proprio l’impatto visivo con questo angolo di New York così particolare a indicarmi una strada per la mia azienda. Noto, con spirito europeo e cuore italiano, le insegne dei locali, le opere degli artisti esposte nelle gallerie, i manifesti e persino i graffiti dei writers di strada che colorano i muri di quella parte di città. Ci sono figure, fotografie, segni grafici e numeri, molti numeri, usati come simboli, marchi, segnali. Mi innamoro così tanto del posto al punto che l’idea di utilizzare i numeri per identificare la nostra azienda credo mi sia venuta proprio lì, ammirando quelle vere opere d’arte moderna dove i numeri, di ogni colore e forma, acquistavano il valore di un messaggio di un linguaggio. L’immediatezza e l’essenzialità di un numero, che è comprensibile a tutte le latitudini del mondo, mi appaiono subito chiarissime mentre mi aggiro per quel luogo…
Tornato a casa ne parlo con i miei cugini e con il Consiglio di amministrazione. Cominciamo a riflettere su come accostare un numero al nostro nome. Il pensiero corre all’anno di fondazione dell’azienda, il 1958. Decidiamo di togliere la prima cifra e, per brevità, tenere le altre tre che, anche graficamente, compongono una serie perfetta. Facciamo delle prove, poi altre prove, poi altre ancora. Alla fine nasce il logo 958 Santero. Non potevamo ancora saperlo, ma quel “958” davanti al nostro nome rappresenterà per noi non solo una novità, ma anche un radicale cambiamento del nostro spirito aziendale e del modo di approcciare mercati e clienti. Con il nuovo logo “958 Santero”, infatti, la Cantina fondata da mio nonno Pietro è come si fosse costruita delle nuove ali per volare in cieli ancora sconosciuti, inesplorati e densi di novità. Non sapevamo dove quel cambiamento ci avrebbe condotto e tuttavia eravamo convinti che quella nuova strada fosse proprio quella che volevamo percorrere impiegando tutte le nostre forze e le nostre risorse. Era il primo tassello di un quadro che si sta delineando: 958 Santero aveva cominciato un nuovo viaggio.