GIOVANNI e la sua famiglia – L’inimmaginabile storia di ACQUA AMATA

“Avevo 54 anni, quando scoprii l’acqua che chiamiamo Amata. Nella testa avevo solo vigneti e l’unica cosa che m’interessava era poter irrigare la nuova vigna. Eppure…” Oggi vi racconto la storia di Giovanni Antonio Mazzone, che s’incammina verso gli 89 anni. Una storia veramente particolare, di una delle più diffuse acque minerali nel nostro Sud e proveniente da un bacino millenario a circa 650 metri sotto terra nella Murgia barese. L’ho raccontata nel mio romanzo d’impresa – firmato con lui – intitolato Quella notte alla “fonte magica” – Acqua Amata, l’inimmaginabile storia di un’eccellenza italiana. E’ la dimostrazione che a qualunque età si possono inventare storie d’imprenditoria anche di successo come questa. Un successo però che ha solide basi nel contributo di una famiglia intera, genero, figlia e nipoti. In questo senso è lo specchio della gran parte dell’imprenditoria italiana. Acqua Amata nel giro di pochi anni, ventitré per l’esattezza dall’uscita della prima bottiglia dalla linea di imbottigliamento, ha visto all’opera il fondatore, la seconda generazione (Giuseppe Avella e Maria Mazzone) e ora la terza, con i nipoti Matteo e Gianni.

Giovanni Antonio Mazzone con il nipote Matteo Avella
Le famiglie Mazzone e Avella, fulcro di acqua Amata

Acqua Amata aumenta ormai da due anni del 18 per cento i suoi fatturati e ha indici di redditività notevoli. Sta ampliando ulteriormente i suoi spazi nello stabilimento di Casamassima dove sta investendo 10 milioni di euro anche su nuove linee di produzione. Il Gruppo che fa capo ad acqua Amata (non solo attività nell’acqua minerale) ha raggiunto un fatturato di circa 60 milioni di euro nel 2023. Acqua Amata è stata classificata “Eccellenza italiana 2021” dalla rivista Forbes e “Prodotto dell’anno” nel 2022. Per diversi anni è stata annoverata tra le imprese insignite del premio “Industria felix” per la sua struttura finanziaria e gestionale. Acqua Amata è stata anche sponsor ufficiale del Bari Calcio fino alla stagione del mancato passaggio della società in serie A, a soli cento minuti dalla fine della partita di play-off.

Ma la cosa che mi ha incuriosito di più quando ho conosciuto prima il nipote, il 27/enne Matteo Avella, oggi manager fac-totum dell’azienda, e poi Giovanni, è stata come il fondatore dell’azienda ha scoperta la fonte. Vi propongo oggi di leggere l’introduzione del libro, nel quale Giovanni, con meraviglia ancora intatta, quasi fanciullesca, ripensa a ciò che gli è successo scoprendo la fonte di acqua Amata. Leggendo il libro che potrete acquistare in libreria oppure sulle piattaforme online conoscerete anche l’apporto decisivo dato alla nascita e allo sviluppo dell’impresa dal papà di Matteo, Giuseppe, e da Maria, sua mamma, e figlia di Giovanni, negli anni travagliatissimi che hanno accompagnato il lancio di acqua Amata e fino ad ora. Quegli anni sembrano “acqua passata” – e scusate il gioco di parole – ma sono state proprio le difficoltà degli inizi a spingere l’azienda verso la solidità, diventando un modello al Sud di impresa finanziariamente sana e ben governata. Non è cosa da poco. E allora, ecco che riprendo il racconto di questa storia con le prime parole di questo articolo:

“Avevo 54 anni quando scoprii l’acqua che chiamiamo Amata. Nella testa, allora, avevo solo vigneti – così era stato dal momento in cui avevo cominciato a lavorare –  e l’unica cosa che mi interessava era poter irrigare la nuova vigna che avevo impiantato. Eppure, col tempo, dovetti rendermi conto che avevo trovato, senza volerlo, qualcosa di meraviglioso, un’acqua dissetante e benefica per l’organismo. Crebbe pian piano allora in me un’idea, come un sogno: non tenere per me quella scoperta, ma portarla fin sulle tavole degli italiani. Alla mia età potevo pensare di trasformarmi da viticoltore a industriale dell’acqua minerale? In quel momento non ci pensavo nemmeno – è ovvio – ma le circostanze, poco alla volta, mi portarono su quella strada. Insomma, voglio dire che ci volle del tempo per arrivare a ciò che oggi si chiama acqua Amata. Le difficoltà incontrate cammin facendo, infatti, avrebbero scoraggiato i più, ma non me. Non mi fermarono nemmeno gli sfottò bonari degli inizi da parte dei miei familiari… E oggi, grazie a quella mia tenacia – ma poi diventata di tutti noi in famiglia – siamo diventati una realtà economica importante nel nostro territorio. Che vuole aprirsi sempre di più nuovi sbocchi in Italia.”

Giovanni Antonio Mazzone torna spesso in quel luogo dove ha scoperto la sua “fonte magica”. Così gli piace chiamare questa fonte che ha riempito di magia e di sorprese veramente inaspettate la sua vita. “E’ il nome che do a questo punto di captazione che pesca da un bacino millenario, profondo e incontaminato, che oggi continua ad alimentare la produzione di ‘Amata’ un’acqua oligominerale che proviene dal cuore della terra pugliese.”, racconta nel libro che abbiamo scritto insieme. “La data della scoperta di questa fonte rimarrà per sempre nella storia della mia esistenza, ma anche di quella dei miei familiari e di tutti coloro che oggi trovano sulle loro tavole – a casa o altrove – la “nostra” acqua: il 2 giugno 1990. Avvenne tutto in modo casuale, direi persino rocambolesco. Da questo luogo, nel territorio del comune di Adelfia, in località Castello, in mezzo a bellissimi campi e davanti a un ampio e spettacolare panorama che lascia intravedere sull’orizzonte il blu intenso del mare – laggiù oltre i terreni, e nelle giornate più limpide – è partita una storia che ha per me, al solo pensarci, un che di incredibile. Infatti, se sono stato – e ancora lo sono – un appassionato viticoltore, bisogna pur dire che, in modo del tutto inaspettato, sono anche diventato un “capitano d’industria” nel settore delle acque minerali.   Ma poi, c’è qualcosa che ancora di più mi sorprende: il vedere tutto ciò che è nato da quella scoperta.”

Mi congedo da voi oggi invitandovi a leggere le pagine – esilaranti per certi versi – di come Giovanni Antonio Mazzone si rese conto di aver trovato il suo “tesoro”. Che è diventato un “tesoro” di acqua incontaminata per tutti coloro che la bevono.

*

Località Castello, era il 2 giugno del 1990. Siccome temevo che qualche malintenzionato potesse approfittare della situazione per venire a rubare camion e generatore di corrente – questa zona era un po’ malfamata – chiesi a due dei miei dipendenti di trascorrere la notte sul posto a fare la guardia. «Questa notte state svegli, mi raccomando, e aggiungete gasolio ogni due ore. Se sentite qualche rumore sospetto o vedete qualcuno… beh… ecco a voi una pistola. Nel caso,
sparate in aria perché sappiano che il posto è sorvegliato».
Li misi in guardia…
«Sì sì, stai tranquillo, faremo come dici tu», risposero convinti, e rassicuranti.
Rimasi con loro alcune ore. Le impiegai ad irrigare abbondantemente tutta l’area con l’acqua che veniva su dal punto della trivellazione. Sulle piante c’erano già acini bellissimi e grandi come un pollice. Poi, verso le dieci di sera, avvisai i dipendenti: «Ragazzi, io me ne vado, sono a digiuno da questa mattina, devo andare a mangiare sennò crollo». «Vai tranquillo, veglieremo a turno. Pensiamo noi a fare la guardia a camion e generatore».
Una volta a casa, cenai e andai a letto. Ma non riuscivo a prendere sonno. Pensavo: «E se arriva veramente qualcuno e spara, pur di impadronirsi di camion e generatore?»
Calcolai mentalmente il valore delle cose che avevo portato lì: 180 milioni di lire il generatore di corrente, 60 milioni il camion… Sarebbe stato un bel bottino per qualsiasi delinquente… Girai più volte per la casa, tormentato. Francesca – lei sempre ottimista e fiduciosa – protestava, canzonandomi:
«Ma la vuoi finire? Hai lasciato i ragazzi in campagna… Di che cosa ti devi preoccupare! Dormi, riposati un po’, ti sei stancato tanto oggi».
Ci provai, a dire il vero, due-tre volte, a dare retta ai consigli di mia moglie, ma non riuscivo a tranquillizzarmi. Allora, stanco di tormentarmi nel letto, mi alzai definitivamente. Feci attenzione a non svegliare Francesca e, una volta rivestito, decisi di tornare al campo dove avevo lasciato i ragazzi. Non potevo avvisarli che stavo tornando da loro prima del previsto, e in piena notte: non c’erano ancora i telefoni cellulari!
Sarà stata l’una di notte. Mentre mi avvicinavo, cominciai a preoccuparmi per me stesso: avevo consigliato loro persino di sparare se mai avessero sentito rumori o avvertito l’avvicinarsi di qualcuno! E nemmeno li avevo avvisati che sarei comparso io a una certa ora della notte. Così, arrivato all’ingresso della stradina, fui preso dal panico: «Vuoi vedere che se sentono rumori mi sparano?» Temevo che non mi avrebbero riconosciuto. Misi le mani tra i capelli, arrabbiato con me stesso per la situazione in cui mi ero cacciato. Poi, decisi di avvicinarmi piano piano, chiamando volta a volta per nome i due ragazzi che avevo incaricato della sorveglianza. Procedetti con la macchina a fari accesi fin verso la loro… Il generatore di corrente faceva però un rumore infernale e i due dipendenti non si accorsero di nulla. Presi coraggio: scesi dalla mia macchina e mi avvicinai alla loro. Li ritrovai sdraiati e addormentati, tutti e due, altro che veglia! Uno
di loro era al posto di guida, con la porta aperta, l’altro era spaparanzato sull’erba. L’arma che avevo dato loro era abbandonata sul sedile del passeggero… Alla mia comparsa, destatisi, balzarono in piedi urlando, spaventati… Per parte mia, tenni i nervi saldi e tagliai corto:
«La guardia la faccio io, stanotte, andatevene!»
E in men che non si dica se ne andarono.
A quel punto mi accomodai sulla mia Mercedes e, probabilmente tranquillizzato dal fatto che avevo preso in mano la situazione, sentii improvvisamente crollare la tensione e cominciò a venirmi sonno. Io, però, volevo rimanere sveglio. In fondo, ero arrivato fin là apposta, per essere sicuro che tutto fosse sotto controllo e che non ci fosse il rischio di furti. Mi tirai le orecchie, il naso, mi pizzicai la pelle, a ripetizione, pur di non cedere al sonno. Ma… niente! Non riuscivo a resistere ai colpi di sonno! Poi mi venne un’idea: “Potrei bere un po’ dell’acqua che viene su dall’emungimento. Provenendo dalla roccia è sicuramente pesante, difficile da digerire. Visto che soffro di gastrite, mi darà sicuramente fastidio. E con il dolore allo stomaco che ho normalmente riuscirò a stare sveglio”. Che cosa mai ero andato a pensare… Così, autoconvinto dai miei pensieri, mi ricordai di avere in macchina un bicchiere. Andai al punto di captazione della fonte e presi un po’ d’acqua. Bevvi, tutto d’un fiato, ben tre bicchieri di quell’acqua. Freschissima… A quel punto me ne tornai in macchina a combattere contro i colpi di sonno, confidando nell’aiuto di un imminente mal di stomaco. Ma… niente! Neanche un dolorino, neanche un piccolo fastidio… e io, lì, invece, costretto a lottare contro il sonno. Dopo neanche un’ora mi venne una gran voglia di urinare. Andai e ritornai in macchina, dopo aver bevuto altri tre bicchieri di quell’acqua. Allo stomaco tutto bene… nel frattempo. Finché arrivarono le quattro e mezza e sentii sopraggiungere i pulmini con i dipendenti da Turi per lavorare nella vigna. Andai loro incontro e, un po’ rintronato da quella notte insonne, cominciai a istruirli sul lavoro che avrebbero dovuto compiere quel giorno. Non fu per niente facile per me parlare con loro. La voglia di urinare era tornata impellente al punto che non riuscii a esprimermi bene con i dipendenti. Scappai appena possibile a liberare la vescica! Cominciai così a pensare che quell’acqua non era per niente cattiva, anzi, che faceva bene ed era molto diuretica. Lo vedevo nei fatti! Nei giorni seguenti non ebbi alcun episodio di gastrite. Anzi, mi sentivo lo stomaco leggero. Da quella notte non ho mai smesso di bere quell’acqua. E mi fa stare bene ancora oggi.

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